Padri e figli, il passaggio generazionale che non è mai naturale

Intervista a Daniela Diletti La Marchigiana, Luca Pacini de La Garzarara Outlet, e Marta Cocci Grifoni della Tenuta Cocci Grifoni

Lo scorso maggio io, Gian Luca e mio papà Massimo siamo stati intervistati da Giorgia Nardelli della rivista DonnaModerna.

Il tema dell’articolo era qualcosa che mi toccava nel profondo, su cui ho riflettuto e rifletto ancora: “Quando il vicino di scrivania ha 30 anni in più”.

Se è vero che in Italia un’impresa su due sta affrontando il passaggio di testimone da una generazione all’altra, è anche vero che due imprese su tre chiudono proprio durante (o a causa?) di questo passaggio

Sono tante le dinamiche che entrano in gioco, specie quando il rapporto è padre-figli, o ancor meglio padre-figlia. Non è tutto semplice e bello come sembra, anzi. Le difficoltà sono enormi, e prima di parlare di gestione aziendale si dovrebbe fare un passo indietro ed esplorare i problemi di comunicazione che subentrano durante questo momento così delicato. 

La “successione” nell’impresa, piccola o grande che sia, è complicata, specie se nel mezzo avviene una rivoluzione digitale senza precedenti. 

L’impresa familiare è sempre stata retta da imprenditori, per lo più uomini, con una precisa visione che potremmo definire accentratrice: il comando è sempre stato nelle loro mani. 

Il primo problema, secondo me, è nella non comunicazione tra le mura di casa. Il papà imprenditore non trasmette di sua spontanea volontà il sapere e l’impresa stessa. Non ne parla perché vuole rimandare il momento in cui subentrerà una nuova generazione, come se questa dovesse sostituirlo e non ci fosse possibilità di dialogo e integrazione. Il problema, però, è uno solo: non esiste passaggio di consegne spontaneo e indolore. 

È qualcosa che va progettato, programmato, vissuto insieme e non avviene di certo da un giorno all’altro. 

Ho deciso di intervistare su questo argomento due colleghe e un collega, imprenditrici e imprenditori di nuova generazione: Daniela Diletti alias La Marchigiana, Luca Pacini de La Garzarara Outlet, e Marta Capriotti, della Tenuta Cocci Grifoni. 

Daniela produce scarpe e borse in pelle. È stata tra le prime a svecchiare l’immagine grigia e impolverata dell’artigiano aprendo al digitale e raccontando la sua realtà attraverso i social network. 

Così come Luca, che ha ripreso il mestiere di suo padre, a modo suo, e oggi vende cuoio e pellami online, anche in piccole quantità. Il materiale che Luca vende è lo stesso utilizzato dall’alta moda made in Italy, ma mentre in passato l’unico modo per accedere a pellami di qualità superiore era comprare grosse quantità di pellame, oggi è possibile acquistarne piccole quantità o addirittura anche solo una pelle, grazie alla sua piccola grande rivoluzione.

Marta rappresenta la quinta generazione (attualmente tutta femminile) alla guida della Tenuta Cocci Grifoni, azienda familiare che nasce da una lunga tradizione di legame con la terra e di passione per la viticoltura, con quasi cento anni di esperienza nella produzione di vini autoctoni da agricoltura sostenibile. La Tenuta oggi comprende anche un Relais dedicato all’enoturismo con un Resort, aree degustazione e viste panoramiche dove rilassarsi completamente. 

Da cosa nasce l’innovazione? 

Michel Bauer, sociologo francese, nel suo libro “Tra impresa e famiglia. Trasmissione e successione nelle piccole e medie imprese” parla di imprenditori dalla triplice personalità: quella di “Homo economicus”, ovvero di uomo attento alla dimensione economica, quella di Homo Politicus, ovvero dell’uomo che vuole garantire il suo status costruito negli anni, e quella di Pater Familias, che si preoccupa di come distribuire ai figli ed alla famiglia la ricchezza che ha creato. Proprio questa complessità rende difficile la successione di impresa, mai legata soltanto al fattore economico. 

Bauer parla anche di “figli muti”, concetto che mi ha colpito molto. Sono tanti i figli che accettano il loro stato e non desiderano affatto governare l’impresa di famiglia. Questo ruolo “secondario” garantisce l’armonia familiare. 

L’innovazione nasce da qui, dalla capacità dei figli di prendere una posizione, di rifiutare quel mutismo, quel ruolo passivo e mai di guida. 

È quello che mi ha raccontato Daniela, quando è entrata in gioco nell’azienda di suo padre. 

Papà e mamma avevano un’azienda ben strutturata, con diversi dipendenti e una produzione importante. È stata chiusa nel 2007, vittima come molte altre imprese marchigiane della crisi economica. In quel momento sono intervenuta io, per aiutare i miei genitori a passare da quell’ imprenditoria che conoscevano a una vita nuova, così abbiamo deciso di cambiare la dinamica industriale. 

Però, c’erano due grandi, enormi, problemi in partenza. Il primo, far ripartire il business dei miei genitori con i debiti e non con un capitale. Con la chiusura dell’azienda del mio papà il problema era fare con quello che avevamo, ovvero pochissimo. Il secondo problema era legato alla percezione della mia figura nelle dinamiche aziendali e familiari. In questa nuova fase è stato difficile far capire ai miei genitori che io potevo gestire l’azienda in una maniera nuova e quindi che il mio contributo, che inizialmente era solo di collaborazione, doveva diventare principale. Oggi le decisioni più importanti le prendo io, sempre in condivisione con i miei genitori, ma sono io che gestisco la strategia aziendale e di conseguenza l’approvvigionamento dei materiali e la distribuzione degli investimenti sul lungo periodo.” 

A me e mio fratello è accaduta la stessa cosa. Quando mi sono presentata insieme a Gian Luca da mio padre, per raccontare la nostra idea di scarpe in serie limitata, non l’ha presa bene. Difficile convincere un uomo che ha messo su un’azienda che quel sistema non può più funzionare, alla luce di una società che cambia tutti i giorni. Abbiamo combattuto a lungo per creare quella che oggi è La Scarpetta di Venere, in cui anche i miei genitori hanno un ruolo importante. 

E forse, la spinta al cambiamento è arrivata proprio dalla crisi. Senza la quale, forse, l’accesso alla gestione aziendale non ci sarebbe stato concesso, o forse noi avremmo preso altre strade. 

Ci sono aziende in cui il passaggio di consegne non è mai avvenuto, com’è accaduto a Marta della Tenuta Cocci Grifoni. 

“Al momento sono tre le generazioni che parlano tra loro nella nostra azienda, con mia madre che è amministratrice unica e prende le decisioni più importanti.

Si convive come se fossimo dei coinquilini: delle volte si sta alla grande, altre volte no. Credo che il problema più grande sia la fiducia. È difficile, per chi “ha sempre fatto così” immaginare che ci siano altre strade, e che magari tua figlia o tua nipote possa fare bene in maniera diversa. Pensando al mondo che cambia, al tema ecologico ad esempio. 

Una delle difficoltà più grandi per me, ad esempio, è far capire che il tempo dedicato ai social è lavoro, che serve a raccontarci, a fidelizzare, ad allargare il mercato. La funzione del digital marketing è difficile da comprendere e non è condivisa dalle generazioni precedenti alla nostra. Il tempo dedicato ai social è lavoro, ma toglie tempo a quello che le generazioni precedenti considerano il “vero lavoro”; è difficile da spiegare. Al contrario, il tema della sostenibilità è stato davvero accolto e portato avanti, con investimenti importanti e di lunghissime vedute. 

La cosa più bella in un’azienda di famiglia è la certezza di poterti appoggiare completamente a chi hai accanto. È come se fossimo un unico corpo, di cui tutti siamo parte, e quando siamo in equilibrio funziona davvero tutto alla grande, con la bellezza e l’autenticità di generazioni che dialogano e si confrontano. 

Il rapporto con i fornitori 

“Oggi il rapporto è molto più sciolto – racconta Daniela – trent’anni anni fa mio papà doveva prendere grandi quantitativi di materiali perché c’erano sempre i minimi di acquisto. I magazzini si gonfiavano enormemente rispetto alle reali esigenze dell’azienda. 

Oggi io acquisto i materiali che servono, ho una produzione più piccola ma mirata, lavoro su ordine, anche se ho una base di magazzino con scarpe in pronta consegna.

Acquisto dagli stockisti che hanno recuperato tutti i magazzini gonfi e acquisto da loro le piccole quantità che mi servono, volta per volta. Questi nuovi fornitori sono più flessibili e attivi rispetto ai colleghi di 30 anni, e dalla nostra abbiamo anche la tecnologia. Con siti e app riusciamo ad essere più rapidi sia negli acquisti che nelle consegne. 

Mi ha colpito molto il racconto di Luca, de La Garzarara Outlet. 

“Ai tempi di mio padre, il lavoro era svolto per lo più per amicizia, nel senso che avevi i tuoi clienti, erano fedelissimi, amici che diventavano clienti o clienti che diventavano amici. I fornitori erano intoccabili, non si cambiavano mai, a meno che il risparmio non fosse davvero enorme. 

Il rapporto umano era fondamentale, si comprava sì per convenienza, ma prima di tutto per amicizia e fiducia. Clienti, produttori e fornitori condividevano perfino attività fuori dal lavoro, le proprie passioni. La crisi ha poi rovinato anche questi rapporti, portando gli imprenditori a delocalizzare sia gli acquisti delle merci che le produzioni.

Il ruolo dei social media 

La storia di Luca è incredibile anche per altri versi, per tempismo e coraggio. 

“Quando sono entrato nell’azienda di mio padre, ho stravolto tutto. Le cose erano cambiate, il rapporto con clienti e fornitori erano cambiato, tutti correvano al risparmio e l’azienda di famiglia non viveva giorni sereni.

Io e mio padre abbiamo convissuto in azienda per pochi anni, dopo lui è andato in pensione. Nel 2016 ho deciso di espormi sui social e raccontandomi anche in maniera abbastanza ironica ho cominciato a raccogliere feedback e richieste direttamente dai clienti. 

Sempre più produttori e piccoli artigiani mi chiedevano di acquistare non più metri e metri di pellame, ma piccole quantità, a volte perfino dei pezzi. Così, ho avuto un’intuizione.

Vendere i miei materiali direttamente online, tramite una piattaforma e poi sul mio sito web, affiancando poi alla vendita un servizio di assistenza al cliente molto ravvicinato. Realizzavo dei video per mostrare i pellami, mi raccontavo online e arrivavo direttamente a chi acquistava. 

I social hanno fatto riavvicinare le persone. Ho ritrovato quello che faceva mio padre negli anni ’70. 

Questa rivoluzione non sarebbe stata possibile senza il coraggio di Luca. L’innovazione è proprio qui, nello stravolgere la mission aziendale che abbiamo ereditato, ampliandone la visione e il respiro

Il coraggio per autoaffermarsi permette alla nuova generazione di artigiani e imprenditori di rovesciare una situazione che in principio appare immutabile. 

Cosa succede alle competenze nel passaggio generazionale? 

“Il tema delle competenze è importantissimo e deprimente – ride e racconta Daniela – perché le competenze sono sparite. La generazione di mio padre, uomini e donne che oggi hanno 60 anni, è l’ultima ad avere le competenze tecniche manifatturiere.  

Conclusa questa generazione con la loro pensione, le competenze tecniche si perderanno completamente perché c’è uno strappo, un gap enorme che nessuno si è preoccupato ancora di colmare. Preziose competenze tecniche e manuali legate alla produzione spariranno nel giro di pochi anni.

Sicuramente ce ne sono di nuove, legate alla comunicazione e al marketing, alla sostenibilità e all’economia circolare, che però non possono sussistere senza quelle tecniche. È un momento difficile perché è come se due mondi che hanno bisogno uno dell’altro, quello delle competenze manifatturiere e quello delle competenze digitali, non si stessero incontrando, e questo è un peccato.”

Per concludere, credo che il valore aggiunto di tutto questo processo, difficile e mai naturale, sia l’innovazione che la nuova generazione porta in azienda. Io, così come Daniela, Marta, Luca, non sono entrata in azienda per continuare il lavoro dei miei genitori, ma per risollevarli, per dar loro la possibilità di conquistare quel riscatto sociale ed economico che meritavano, dopo anni di fatica e immensi sacrifici.

Allo stesso tempo, ho deciso di fare impresa per rivolgere lo sguardo a orizzonti nuovi, prima mai nemmeno contemplabili.

Il valore che portiamo non è solo nell’apertura al mondo digitale, che sicuramente è una rivoluzione e ci permette di avere un filo diretto con i nostri clienti, ma è anche e soprattutto una nuova visione, fatta di consapevolezza, di etica, di progetti a lungo termine, di coraggio necessario per scardinare tutti quei “si è sempre fatto così”. Solo condividendo questa visione con le altre generazioni ed eliminando ogni pregiudizio è possibile innovare davvero, anche per recuperare e trasmettere quelle competenze che, altrimenti, sono destinate a scomparire.